
Dopo aver parlato del Mercato delle Gaite e della manifestazione in generale, è tempo di conoscere questo evento fantastico un po’ più da vicino, entrando tra i vicoli e le cantine, tra le case della gente allestite in modo spettacolare per ricreare antichi mestieri perduti. I laboratori artigianali delle quattro Gaite ci consegnano un mondo dove nessun oggetto poteva esser dato per scontato ma era la somma di numerosi sforzi e andava custodito con cura. Visitate con calma i Mestieri Medievali di Bevagna e leggete le pagine di una storia non scritta dai grandi eventi e dalle battaglie ma dal quotidiano, dai piccoli gesti di tutti i giorni, dalle buone idee per migliorare la vita, passo dopo passo.
Il vero protagonista della rievocazione è il lavoro, la produzione artigianale attraverso macchinari del tempo, inventati e sempre più perfezionati per alleviare la fatica dell’uomo. Creazioni che necessitano attese e sudore, ma anche occhi esperti, trucchi in mano a pochi e materie prime naturali. Un mondo dove il senso di collettività vince sull’individualismo e niente sembra apparire dal nulla ma prende forma lentamente, con tecnica e pazienza.
Indipendente dalle competizioni è la Cereria, luogo in cui vengono prodotte manualmente le candele di cera d’api, scaldate e modellate, le candele furono a lungo l’unico rimedio per sfuggire alle tenebre della notte. Il laboratorio sembra una grotta di stalattiti penzolanti e tra ruote, pentole fumanti e un intenso odore dolciastro, le candele prendono forma e si solificano in nuove forme ritorte e funzionali.
I mestieri della quotidianità della GAITA SAN GIOVANNI sono molto affascinanti. Il percorso inizia con la cartiera e la selezione degli stracci da destinare alla produzione della carta, si suddividono le tipologie in base alla qualità e allo stato del tessuto. Dal cotone, dal lino e dalla canapa tagliuzzati e macerati nella calce si otterrà poi una “pappetta” biancastra dall’odore molto forte che verrà lavorata e formata in appositi stampi. Le fasi di lavoro sono delicate e dai ritmi ben precisi, i fogli sono messi ad asciugare come panni stesi e poi spalmati con sostanze protettive a base animale e raggruppati per la distribuzione e la vendita. Usciti nel cortile si assiste poi alla produzione del vetro, importante compagno della vita quotidiana medioevale. Si può vedere una fornace accanto alla quale i soffiatori modellano rosse sfere di pasta incandescente. Creatori di oggetti per la casa e le botteghe, recipienti, lampade o utensili per la distillazione. Da articoli di lusso a beni di uso comune come il bicchiere e il fiaschetto per il vino.
La GAITA SAN GIORGIO ha una triplice vocazione artistica, pratica e produttiva, da una parte il piccolo studio del Dipintore, dove poter “spiare” le attività di un laboratorio di pittura ispirato alle conoscenze e stili del medioevo.
Più avanti si può visitare La Zecca e assistere alla fusione dei metalli per ottenere monete, potrete vedere come vengono lavorate, incise, rese uniche e riconoscibili. Un denaro che passerà dalle mani del popolo a quello dei bottegai, dai venditori ai ricchi, e poi intraprenderà viaggi avventurosi nelle tasche dei mercanti.
Ma il mestiere principale di questa gaita è la lavorazione della Canapa, una pianta erbacea ampiamente coltivata in Umbria dalla quale si estraggono sostanze fibrose multiuso. I processi vengono illustrati in tutte le loro fasi, dalla pianta al tessuto di diverse qualità, una materia che si trasformerà in prodotti di diversa tiologia, dai tessuti alle corde e alle reti da pesca, fino alle imbottiture per i letti dei più poveri con i suoi scarti.
La GAITA SANTA MARIA propone invece la lavorazione della seta, i tanto amati tessuti lucenti e leggeri, un vezzo e un materiale da proporre ai ricchi, un modo per apparire e dichiarare il proprio stato sociale. Durante la Seconda Crociata i segreti della seta raggiunsero l’Europa, il materiale prezioso, che era costato come la peggior tassa ai romani, divenne parte anche della produzione dell’Italia medievale. Prezioso si ma non più irraggiungibile come un miraggio, finito il monopolio dell’Oriente si importa meno e si inizia a lavorarla e produrla, chi ha soldi la richiede sempre di più, tanto da trasformarla in un biglietto da visita essenziale per la vita ai piani alti della società.
Girovagando tra i vicoli si passa dall’allevamento dei bachi alla lavorazione dei bozzoli, fino alla dipanatura, stesura e tintura del filo. Notevole la realizzazione di un torcitoio a trazione umana per la seta, funzionale oggi come ieri, costruito a partire da documenti originali del 1300.
L’ultimo passaggio è il più spettacolare, i rocchetti che aumentano di volume ad ogni giro creano una musica leggera volteggiando come ballerine su un palco di legno. Il percorso alla Gaita Santa Maria continua con la segheria, una forma di pre-industria che sfruttava la presenza di un bacino di acqua all’interno della città per alleviare il lavoro umano.
Lo Scriptorium è il fiore all’occhiello della GAITA SAN PIETRO, un percorso suggestivo attraverso l’arte della grafia e della conservazione del sapere. Ammetto che tra tutti i mesteri che ho visitato a Bevagna questo è stato il mio preferito (non perdetevelo mi raccomando). I libri medievali, rarissimi e costosi, sopravvissero celati nelle biblioteche monastiche, in copie gioielli eseguite con cura e materiali preziosi.
Varcando la soglia di un monastero assisterete alla lavorazione della pelle per ottenere la pergamena fino all’arte della miniatura e la paziente opera di scrittura, una conoscenza che solo in pochi, e il più delle volte ecclesiastici, potevano avere. Affascinante a dir poco, un vero salto nel tempo tra oggetti, fasi di lavorazione e suggestive scenografie. Sembra quasi un film.
Il monastero come luogo sacro dove il sapere sfugge all’analfabetismo e resta in attesa di essere riscoperto, tramandato, tirato fuori dal suo ambiente circoscritto e dalle pagine dei codici per ritrovare gli occhi e la mente di molti.
Ultima ma non per importanza, L’Ars Tinctoria, una vivace e appassionante piccola tintoria che vi trascina indietro di settecento anni. I colori del medioevo nascono nel ventre delle tintorie, piccoli luoghi abitati da uomini di bassa estrazione sociale e impegnati in un lavoro estenuante a contatto con vasche fumanti, colori, pigmenti, sostanze fissanti e urina. Se le fibre naturali prodotte in Italia venivano richieste e commerciate in tutta Europa importante era anche il lavoro di laboratori come questo e tanti silenziosi artigiani. All’interno della tintoria di Bevagna si assiste però con piacere ad una simpatica messa in scena con scambi di battute e un teatro della quotidianità che non risparmia al pubblico neanche gli odori (sgradevoli) del tempo. Quel che non si fa per rivivere il passato, e lodevole è in ogni caso la ricerca storica degli organizzatori dell’evento, in ogni singolo dettaglio.
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