
Girare per mercati è una delle cose che mi appassiona di più durante i viaggi, di tutto il mondo quelli indiani sono i miei preferiti ma anche in Sud America se ne possono trovare di coloratissimi e interessanti, una finestra sulla vita quotiana, sull’artigianato e sulla produzione agroalimentare. La Feria de Saquisilí raduna persone di diverse comunità locali ed è un punto d’incontro molto importante per gli abitanti dei villaggi indigeni di tutta l’area della Sierra, arrivano venditori e acquirenti non solo da Latacunga ma anche dai dintorni di Quito e da Ambato.

Dalle prime luci dell’alba i venditori iniziano a fare la spunta per accaparrarsi i posti migliori, alcuni sono presenti tutte le settimane, altri partecipano a rotazione e si spostano durante il mese anche in altre città ecuatoriane più lontane. Soprattutto gli allevatori di alpaca vivono in una specie di nomadismo di mercato in mercato. Anche se avevo già passato una giornata intera a Otavalo, il mercato dell’artigianato ecuatoriano per eccellenza, ho deciso di vedere anche il mercato di Saquisilí proprio perchè sono nettamente diversi. Se Otavalo è una cittadina ridente e ordinata, Saquisilí sembra solo una distesa di terreno libero per ospitare i venditori, si tratta di un mercato abbastanza chiassoso, più rustico e meno turistico nel quale la maggior parte dei prodotti sono “da consumo” piuttosto che oggetti di pregio difficili da fare e belli da guardare.

Ci sono banchi e banchi di vestiti, pigiami e calzini come in un mercato dei nostri ma ecco che da un angolo spuntano fuori i ponchos, alcuni ricamati, altri dai colori sobri, come il crema o il marrone, usati dagli uomini delle comunità indigene quotidianamente. Ci sono ponchos più belli e morbidi, per le feste, e altri più semplici ma molto caldi, da usare durante il lavoro all’aperto. Un po’ in disparte, in un grande campo di terra battuta c’è anche tutta una zona dedicata al commercio di animali vivi, soprattutto alpaca, maiali, galline e conigli, ma non sono riuscita a trattenermi più di tanto per colpa del cattivo odore e della confusione. In quell’area gli allevatori e i contadini delle campagne arrivano la mattina presto e iniziano a mercanteggiare, se non raggiungono un compromesso sulla tariffa si mettono pure a litigare e tirarsi insulti. E in pochi minuti ne ho sentiti di coloriti.

Meglio spostarsi nel reparto dell’ortofrutta, dove la vera sorpresa è stata il Mercado de las Papas, una lunga esposizione di patate di tutte le grandezze e i colori divise per tipologie e organizzate come un archivio. Non avrei mai immaginato potessero esserci così tanti tipi di patate al mondo! Rosse, gialle, viola, nere, bianche, con macchie, a pasta morbida, a pasta striata, patate novelle e anche … patate ciliegia, buonissime da mangiare, odiosissime da pelare. Con macchine rudimentali ma efficaci i mugnai che producono la propria farina all’istante, i venditori di semi salati e frutta secca oleosa sistemano piramidi di taniche scatole e cesti, oltre che frutti essiccati tropicali o provenienti dalle montagne vulcaniche circostanti.

Nel cuore del mercato, la parte coperta da una grande tettoia di ferro, non mancano le “spadellatrici” che all’interno di grandi wok o pentoloni cucinano e friggono l’impossibile alzando nuvole di fumo o odori. La cosa più innoqua mi è sembrata una tortilla di farina di mais e semolino, una specie di gnocco fritto, che viene poi condito con sale e peperoncino in polvere o con una miscela di spezie che non sono riuscita a decifrare (paprika, limone e poi? Boh). Le signore indossano i propri costumi tradizionali, sono avvolte nei mantelli di lana pesante e hanno trecce, code e cappelli a falde, tipici delle comunità indigene locali. Tutta una è sezione dedicata agli arrotini, ai sarti e ai falegnami, uomini e donne che si siedono in fila formando una linea ordinata, ciascuno con i propri attrezzi , non hanno paura della concorrenza perchè il lavoro c’è per tutti. La gente approfitta dei giorni di mercato per farsi dare un’affilata ai coltelli, alle forbici o aggiustare un vestito, una seggiola o un mobiletto della casa. Non si butta nulla, o almeno prima di farlo si può aggiustare, reciclare e trovare nuovi usi. Mi sembra più che giusto.
