
Con i suoi 4.000 metri d’altezza il Titikaka è il lago navigabile più alto del mondo, un mare andino dai colori accesi abitato da comunità indios tradizionali, diviso tra il Perù e la Bolivia, regala a entrambi i paesi scenari spettacolari e cela agli occhi del mondo comunità tradizionali che mantengono vive culture millenarie come se il tempo si fosse fermato.
Nel versante peruviano si incontrano le isole galleggianti degli Uros, costruite con piante di totora e le comunità quechua che abitano le isole di Taquile e Amantaní. Il punto di partenza in ogni caso è la città di Puno, un centro abitato moderno dove si incontrano sia ristoranti internazionali che lama e alpaca che attraversano la strada, processioni religiose cristiane/misto pagane e campesinos che si recano a vendere ortaggi per comprare altri oggetti per la famiglia.
Da Puno si parte in piccoli gruppi per le visite delle comunità degli Uros e di Taquile e Amantani. Essendo vietata la costruzioni di qualsiasi hotel e ristorante nelle isole, l’unico modo per vederle è farsi ospitare nelle case dei suoi abitanti. Abituati alla presenza (ridotta e regolamentata) dei turisti, gli indios sono felici di accogliere i visitatori e fare spazio nelle proprie case. Si paga una cifra in agenzia per il trasporto e l’accompagnatore fino alla casa in cui si verrà ospitati ma è buona pratica fare la spesa prima di lasciare Puno e comprare beni non corruttibili da condividere, per esempio olio, legumi, riso e biscotti.
Navigare il Titicaca è come trovarsi nel mezzo di un mare azzurro e profumato, lasciata alle spalle Puno gli orizzonti si perdono, a lungo non si incontrano più punti di riferimento. Il nome Titikaka ( puma grigio) deriva da una leggenda raccontata ancora dalle comunità locali che mescola elementi del Paradiso Perduto, di Prometeo e del Grande Diluvio. Si narra di una valle paradisiaca abitata da uomini felici ai quali gli Apu, gli dèi della montagna, fecero solo una richiesta: non impossessarsi mai del loro fuoco sacro. Sfidando la loro volontà, un gruppo di uomini cercò di avvicinarsi alla montagna, a quel punto due puma si scagliarono contro la popolazione, uccidendo tutti lungo il loro cammino. Al termine dell’opera i due puma inviati dagli dèi si trasformarono in rocce e il dio del sole Inti pianse per quaranta giorni e quaranta notti la fine degli uomini, le sue lacrime si raccolsero in un lago limpidissimo. Al termine delle piogge, una giovane coppia apparse sulle rive del lago, erano sopravvissuti e avrebbero generato una nuova comunità.
Quando si scende dall’imbarcazione ad Amantaní si viene assegnati ad una famiglia, come un’adozione temporanea, le persone di riferimento saranno molto più di una guida turistica, con loro si condividerà la tavola, si cucinerà insieme, si partirà per passeggiate nelle case dei vicini, tra i campi in cerca di panorami. Nel pomeriggio si può camminare per raggiungere i terrazzamenti agricoli più in alto, fino al tempio del Sole e della Pachamama (la madre terra andina), dove poter assistere ad uno spettacolare tramonto.
Per poter interagire bene con la famiglia, fare domande e togliersi delle curiosità, è utile conoscere un po’ lo spagnolo (anche se i familiari parlano tra loro solo in quechua, una lingua pre-incaica). La signora che ci ospita ci prepara riso in bianco, patatine fritte e una zuppa calda. A fine pasto una tazza di mate di coca bollente, una bevanda dall’odore forte e agro che sono stata costretta a bere pur di non cadere a terra schiacciata dal soroche, il mal d’altitudine che mi ha fatto sempre compagnia.
L’isola di Amantaní è abitata da una comunità che segue rigidamente le sue regole, dalla comunicazione alla gerarchia delle famiglie, fino agli abiti tradizionali, indossati sin da bambini. La famiglia in cui vengo ospitata è composta da una coppia di quarantenni con due figli adolescenti, il ragazzo ci presenta a cena la sua fidanzatina, con la quale si sposerà tra qualche anno, sin prisa ci dice “senza fretta”, con un sorriso timido. Sono giovani, ma forse meno giovani dei loro genitori quando hanno messo su famiglia. Anche in un luogo che si propone di non cambiare mai qualche piccola variazione si intravede, i ragazzi si sposano un po’ più tardi e mettono al mondo meno figli.
Ogni mattina i giovani partono presto, fanno colazione e vanno a lavorare la terra portandosi dietro la chitarra, nell’isola si coltivano le patate, i fagioli e alcune verdure, per le poche attività commerciali vige il sistema della cooperative. Non ci sono bagni in casa, all’occorrenza si va fuori, vicino ai campi. E neanche la corrente elettrica, una torcia e una candela sono sufficienti, anche perchè con l’altitudine è facile crollare dal sonno (o al contrario restare svegli ma immobili, primi di energie), fare due passi è come scalare l’Everest.
I tessuti artigianali delle isole sono stati dichiarati Patrimonio dell’Unesco. Ogni capo indossato ha il suo valore simbolico, la cintura per esempio rappresenta le stagioni ed è una specie di calendario e reminder per l’agricoltura. Gli abiti tradizionali delle donne sono una gonna a pieghe, un grande scialle scuro e delle cintine, mentre nelle isole degli Uros i colori sono nettamente più forti e si indossano cappellini a bombetta. Per gli uomini è più semplice (come sempre, del resto, ahimè) : pantaloni, poncho e delle cuffiette di lana (il cui design è già diverso nelle due isole).
Taquile è l’altra isola poco distante da Amantani, ugualmente legata al passato nei suoi valori e scenografica nei paesaggi, si raggiunge con un breve tragitto in barca a motore. Anche se nemmeno lì è possibile costruire strutture ricettive di alcun tipo, nella piazzetta principale c’è un centro de artesania, chiaramente messo in piedi per i visitatori. Acquistando qualche oggetto si può contribuire allo sviluppo del villaggio e delle comunità locali. L’isola è un continuo sali scendi di scalini, gradini di pietra grigia che si arrampicano intorno tutto l’isola circondati da muretti a secco. Senza una crema protettiva per i viso ti ritrovi tutto bruciato e spellato, il sole picchia forte e il vento e l’altitudine fanno il resto.
L’ultima tappa è una sosta su una delle isole fluttuanti degli Uros, galleggianti intrecci di totora che stanno a galla nel bel mezzo del lago e periodicamente vanno rinnovati, due o tre volte l’anno si procede al restauro delle “fondamenta” per evitare che le case affondino. L’aspetto delle isole cambia continuamente, se c’è un matrimonio si possono unire due isolotti, al contrario per una lite tra vicini si può tagliare la propria porzione e allontanarsi come se niente fosse. Anche le loro imbarcazioni sono intrecciate con lo stesso materiale e la forma ricorda draghi galleggianti che solcano le acque. Anche se aperti al turismo, gli Uros restano una comunità autentica e molto rigida nel seguire regole ancestrali, precendi all’arrivo degli Incas nelle regioni andine. Per difendersi da altri clan, gli Uros costruirono le loro passerelle sulle acque del Titicaca come rifugio temporaneo, soluzione che però divenne definitiva e continuò a tramandarsi di generazione in generazione.
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